Le idee di Bergson esercitarono un notevole influsso sul
romanzo novecentesco e su Proust in particolare. Proust constata come il tempo cambia ogni cosa: ci fa allontanare da come siamo stati, al punto
che neppure più ci riconosciamo. L'unico elemento che possiamo opporre a una
simile dissoluzione è la memoria. Non la memoria volontaria, però, attraverso
cui noi ci sforziamo di ricostruire il passato, bensì quella involontaria. Essa
opera per analogia, nel senso che una sensazione può richiamarne alla mente
un'altra analoga, prodottasi nel passato; e non ci fa semplicemente ricordare
il passato, ma ci permette di riviverlo, di recuperarlo nella sua pienezza e
autenticità. E' un fenomeno di per sé non insolito, sicuramente tutti lo
abbiamo provato, ma che Proust rende uno strumento d'indagine privilegiato e
sistematico.
In conclusione: il nostro tempo è vivo in noi; il mondo
esteriore, in un certo senso, per Proust non esiste, perché rappresenta solo
ciò che, in un certo momento, noi creiamo e che, in un certo momento, noi
creiamo e che, subito dopo, muta con il nostro stato d'animo, sottoposto al
fluire del tempo (avviato dall'accendersi della memoria).