Il tempo
esteriore, può anche essere definito “oggettivo”, è quello che è uguale per tutti, e che per convenzione
abbiamo fatto in modo che fosse uguale
per tutti.
I secondi, i
minuti, le ore, i giorni, i mesi, le stagioni, gli anni, non esistono in natura
ma li ha inventati l’uomo.
Le persone che scelgono di rinunciare alla
propria dimensione interiore e con essa anche al tempo che la caratterizza, è come
se rinunciassero al proprio modo unico e personale di sentire, diverso per
ciascuno di noi e che rientra in ciò che possiamo chiamare tempo interiore.
Ognuno di
noi ha una propria realtà interiore che filtra gli eventi e le esperienze; personalizzando
quindi la realtà. Ci si rifugia nella poca responsabilità del mondo esteriore che,
col tempo uguale per tutti, detta le regole di quello che devi fare e quando lo
devi fare per te stesso e con gli altri. In tal senso è come ci si
sottomettesse alle regole del mondo esterno.
E ciò
accade per convenienza e protezione perché talvolta rendersi immuni alle
proprie sensazioni evita difficoltà.
Estraniarsi
da se stessi e mettersi alla mercé del mondo esteriore, che, col suo tempo
appiattito non dà ragione della profondità ed unicità della personale
esperienza: è un altro modo per decidere di non esserci in ciò che si fa.
Però è
possibile avere coscienza sia del tempo interiore che di quello esteriore ed è
sicuramente nobile farlo. L’unione di
queste due qualità del tempo rappresenta un arricchimento in quanto è come
entrare in possesso di maggiori riferimenti del vissuto.
E’ un modo
di vivere le proprie esperienze uniti agli altri. Poiché la vita è relazione:
se riusciamo a non dimenticare, ma anzi a rendere omaggio al fatto che tempo
interiore ed esteriore sono uniti e manifesti nel presente è il modo migliore di apprezzare e vivere la
realtà.
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