Esperimenti condotti alla fine del 19° secolo suggerivano che c'era qualcosa di speciale nella luce: essa viaggiava sempre alla stessa velocità. Per questo motivo, nel 1898, il fisico e matematico francese Henri Poincaré ipotizzò che la velocità della luce potesse essere un limite insuperabile. Più o meno nello stesso periodo, altri ricercatori stavano valutando la possibilità che gli oggetti cambiassero in termini di dimensioni e massa, a seconda della loro velocità. Einstein riunì tutte queste idee nella sua teoria della relatività speciale del 1905, che postulava che la velocità della luce fosse una costante.
Perché ciò fosse vero, spazio e tempo dovevano essere combinati in un'unica struttura per mantenere la velocità della luce uguale da ogni punto di vista. Lo spazio e il tempo sono relativi in virtù del fatto che dipendono dalla velocità dell’osservatore nel momento. Esemplare in questo senso è il paradosso dei gemelli. Il punto di partenza del paradosso è la presenza di due gemelli, uno dei quali viene fatto partire per un viaggio nello spazio di andata e ritorno, mentre l’altro rimane sulla Terra. Nonostante sappiamo che per un corpo è impossibile viaggiare alla velocità della luce, perché la sua massa diventerebbe infinita, supponiamo che il veicolo spaziale viaggi con velocità prossime a quelle della luce. Una volta raggiunta la sua meta, invertita la rotta e tornato sulla terra, il primo gemello, ancora giovane, troverebbe il fratello molto anziano: infatti, l’astronauta sarebbe invecchiato meno. ( L. Fontana)
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