Bergson, seguendo Sant’Agostino, sostiene che sussiste una differenza sostanziale fra il tempo esteriore, fondato sulla successione degli istanti come sono registrati dall'orologio e dal calendario ed il tempo interiore. Bergson polemizza dunque con il concetto fisico-matematico di tempo, assunto dalle scienze esatte. Per Bergson questo tempo non è quello reale, vero, cioè non è il tempo astratto, una successione di istanti statici e uguali. Il tempo come fatto psichico ha invece caratteristiche qualitativi, non quantitativi. La nostra coscienza vive il tempo come durata, perché gli atti che lo compongono sono uno sull’altro. In altre parole, l'atto presente porta in sé il processo da cui proviene e insieme è qualcosa di nuovo. Questo contribuirà a far scaturire nuovi atti, in una durata, appunto, senza interruzioni o salti.
Perciò, per Bergson, un ruolo importante nella conoscenza
viene esercitato dalla memoria. Essa conserva le nostre esperienze passate, ma
in modo non statico, perché le fa continuamente interagire con gli stati di
coscienza presenti.
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